Avanti Indietro Indice

3. Un po' di pratica

Dopo questa breve carellata nozionistica, vediamo di entrare nel vivo della produzione. Cercherò di descrivervi, nel modo piú chiaro possibile, le operazioni e gli attrezzi che mi permettono di creare, da una scheda ramata grezza, un buon circuito stampato.

3.1 Esposizione

In questa sottosezione descriverò quali sono gli accorgimenti che adotto prima e durante l'esposizione alla luce ultravioletta della scheda ramata presensibilizzata.

Il master

Vediamo innanzitutto come creare il master. Poiché la luce deve essere in grado di passare attraverso il foglio su cui sono disegnate le piste del circuito, utilizzo una carta lucida, solitamente un foglio in acetato trasparente. La cosa piú importante è l'opacità del tracciato. Se questa non fosse sufficiente, infatti, si avrà poco contrasto fra le due zone con il rischio di corrodere anche le piste nel tentativo di asportare il rame dalle zone di interconnessione.

Una semplice fotocopia da una rivista, per esempio, non permette di ottenere dei buoni risultati per via della grana non molto fine del toner depositato dal fotocopiatore. Per ottenere risultati eccellenti con questa tecnica sarebbe necessario utilizzare il metodo Xerox, anche se, purtroppo, ho potuto constatare personalmente che non è molto diffuso fra le copisterie. Un compromesso si ottiene sovrapponendo due fotocopie, ma faccio presente di non muovere assolutamente l'originale fra la prima e la seconda copia, altrimenti poi sarà impossibile far combaciare perfettamente i due fogli in acetato.

Risultati certamente superiori a quest'ultimo metodo si ottengono da una stampante laser. Avendo a disposizione un file contenente l'immagine in solo bianco e nero del circuito, risulta certamente il sistema che preferisco e che cerco di adottare per tutti i miei circuiti. Ma come procurarsi l'immagine? Se il circuito è stato realizzato con qualche CAD per l'elettronica siamo a cavallo, altrimenti si può ricorrere all'uso di uno scanner. L'importante è che sia piano. Con quelli a strisciamento, infatti, si rischia di distorcere le distanze tra punto e punto del circuito. Provate, poi, ad inserire un integrato, magari a 24 piedini, se il passo dei fori non è pari ad 1/10 di pollice! Vi consiglio, inoltre, di utilizzare una risoluzione un po' piú alta del normale (diciamo attorno ai 400dpi) cosí, quando ridurrete la scala dell'immagine per riportarla a grandezza naturale, molte imperfezioni presenti sui bordi delle piste svaniranno.

Un altro prezioso consiglio sulla creazione del master consiste nell'aggiungere una sigla all'immagine da riprodurre. Innanzitutto perché vi faciliterà in seguito il riconoscimento del circuito, ma anche perché la stampa dovrà essere eseguita, per un motivo che spiegherò in Posizionamento e fissaggio del master alla scheda, con la scritta riprodotta al contrario.

La scheda ramata

Le schede ramate si trovano abbastanza facilmente nei negozi di elettronica. Personalmente ne faccio incetta alle fiere dedicate al settore, presso gli stand delle industrie che svendono gli scarti delle loro produzioni. Di solito si trovano quattro o cinque basette rettangolari, di dimensioni diverse, racchiuse in una semplice busta di plastica trasparente. Se sono a singola faccia, noterete la protezione adesiva di colore scuro su un lato solo.

Nel ritagliare la vetronite con un seghetto cercate di rimanere un po' abbondanti rispetto alle dimensioni reali del circuito. È sempre possibile tagliarne via un altro pezzo piuttosto che aggiungerlo! Inoltre non dimenticate di smussare i bordi con una lima per eliminare le sbavature prodotte dalla seghettatura.

Arrivati a questo punto potete togliere la pellicola adesiva di protezione contro la luce. Il photoresist non dovrebbe risultare molto sensibile alle lampade ad incandescenza, visto che la loro emissione di raggi ultravioletti è molto contenuta. Una stanza con le imposte chiuse e una lampadina alle proprie spalle dovrebbe quindi risultare perfettamente idonea. Personalmente, però, uso una (orribile) lampada da comodino che ha la particolarità di emettere una (inquietante) luce rossa. Una specie di camera oscura, insomma, anche se per i nostri scopi, forse, risulta essere un po' esagerata.

Posizionamento e fissaggio del master alla scheda

Il posizionamento del master sulla scheda è molto importante. Lo scopo principale è quello di delineare nel modo piú netto possibile i contorni del tracciato. Per questo motivo l'inchiostro depositato sull'acetato dovrà risultare il piú vicino possibile al rame della scheda, in modo che la luce non possa penetrare diagonalmente e colpire marginalmente le piste.

Ecco spiegato il motivo per cui risulta necessario fare attenzione affinché:

Quest'ultimo punto risulta immediato se si è stampato il circuito con una sigla alla rovescia. Appoggiando il foglio in modo da leggere correttamente la scritta, si noterà che il lato rivolto verso noi è quello privo di inchiostro.

Il problema, a questo punto, consiste nel far rimanere fermo e ben aderente il foglio in acetato. Io ho superato questo ostacolo incollando uno strato di materiale spugnoso su una superficie di multilamellare (legno) e racchiudendo il circuito fra questo e un pezzo di vetro, il tutto tenuto fermo da due pinzette. Probabilmente sarebbe sufficiente appoggiare il vetro sopra la scheda ricoperta dal lucido, ma non ho mai provato.

Lampada e tempi di esposizione

Come abbiamo visto nella sezione Il master e lo sviluppo, i tipi di lampade che si possono utilizzare sono molteplici. Io ero partito con una lampada di Wood, ma ho ottenuto scarsi risultati, probabilmente perché ero ancora alle prime armi. Successivamente mi sono procurato ad una fiera due tubi al neon da 12W ciascuno, indicati specificatamente per questa applicazione. Il loro collegamento elettrico è identico a quello di una qualsiasi lampada al neon di pari potenza. Pertanto un trasformatore ed un reattore acquistati presso un qualsiasi negozio di materiale elettrico soddisferanno egregiamente alle nostre richieste.

Credo sia inutile dire che l'illuminazione deve essere uniforme. Assicuratevi, quindi, che la lampada in vostro possesso copra in maniera omogenea tutta la superficie della scheda. Anche la distanza tra lampada e circuito non è una variabile critica. L'importante è che rimanga costante per ogni circuito che produrrete, altrimenti dovrete anche variare in continuazione i tempi di esposizione.

Da parte mia ho risolto tutti questi piccoli problemi costruendomi una piccola scatola in legno (ma credo che anche un'altra scatola, tipo quella per le scarpe, possa assolvere benissimo ai nostri scopi), fissando all'interno trasformatore, reattori e lampade. Ho tenuto una distanza di 6cm fra i due neon e di 4cm fra lampade e circuito. Vi consiglio, inoltre, di applicare della carta stagnola dietro ai tubi in modo da sfruttare anche la luce riflessa e diminuire i tempi di esposizione.

A questo punto è possibile accendere la lampada. Ma per quanto tempo? Come abbiamo avuto modo di vedere questa variabile dipende da molti fattori: il tipo di sorgente luminosa, la potenza della fonte, la sua distanza dal circuito, l'opacità del master. Non c'è una formula che permetta di stabilire il tempo di esposizione. Bisogna affidarsi alla pratica (vedi Sviluppo piú avanti). L'aspetto negativo è che si può capire se il tempo è stato scelto correttamente solo dopo lo sviluppo, ovvero quando oramai la scheda è stata ``bruciata''. Non preoccupatevi, quindi, se le prime volte dovrete buttare via la basetta appena terminata perché il lavoro non è stato molto soddisfacente. È normale. Indicativamente posso solo dirvi che il tempo necessario va da un minimo di 2 ad un massimo di 8 minuti.

Il master, d'ora in poi, non vi serve piú. È comunque una buona idea non buttarlo, ma anzi tenerlo e raccoglierlo da qualche parte, perché potrebbe accadere che vi serva ancora in un prossimo futuro.

3.2 Sviluppo

Una volta che il photoresist è stato impressionato, è necessario fermare l'immagine sulla superficie di rame. Nelle mie realizzazioni faccio uso di una vaschetta di plastica bianca, di quelle che danno nei supermercati quando si acquista l'insalata di mare sott'olio al banco del pesce, riempita con la soluzione di cui si è parlato nella sezione Il master e lo sviluppo. In particolare, per la preparazione dell'acido, acquisto le buste già pronte per la loro estrema praticità. Trovare una bilancia precisa al grammo non è, infatti, cosí semplice. D'altra parte non è nemmeno opportuno preparare, per esempio, dieci litri di soluzione, anche perché la stessa può essere utilizzata piú e piú volte.

A questo punto è sufficiente immergere la scheda ramata nella soluzione ed agitare. Per muovere la basetta, raccoglierla e verificarne lo stato di sviluppo si può utilizzare una pinzetta di plastica. Personalmente attacco una striscia abbastanza lunga di scotch sul lato componenti e la uso come una cordicella. Il motivo è presto detto: rischiare di graffiare la superficie fotoincisa non è certamente una bella cosa e, d'altra parte, ci sono alcuni circuiti di dimensioni tali che una semplice pinzetta non riesce ad afferrare.

Durante lo sviluppo noterete che dal circuito si libera un colore nerastro. È il photoresist impressionato che, sotto l'azione dell'acido, si stacca liberando la superficie ramata. Se dopo un po' notate che anche l'immagine del circuito si stacca cominciando a galleggiare nel liquido, significa che state usando una soluzione troppo aggressiva, o perché troppo concentrata o perché troppo calda. Se, invece, vi accorgete che dopo un paio di minuti non appare ancora nulla, in questo caso la soluzione è poco concentrata o troppo fredda. Provate a riscaldare la soluzione, ma se non ottenete ancora nulla, allora il problema sta in una sottoesposizione e la scheda non è piú utilizzabile. Dovete ricominciare da capo.

Come avete capito la temperatura della soluzione riveste una certa importanza. Inizialmente cercavo di riscaldarla un po' per portarla alla temperatura di 25-30°C gradi. Successivamente mi sono accorto che anche una temperatura ambiente di 20-25°C è piú che sufficiente.

Una volta che l'immagine risulta ben nitida sulla scheda, è necessario passare ad un abbondante risciacquo che tolga tutti i residui della soluzione dalla basetta e ne arresti lo sviluppo. Ovviamente, se lo ritenete opportuno, potete anche immergere ancora il circuito nell'acido e proseguire con lo sviluppo.

Un'ultima raccomandazine. Fate attenzione quando maneggiate la soluzione in quanto la soda caustica corrode molto facilmente gli indumenti. Ne basta una sola goccia. I miei vecchi pantaloni ve lo possono assicurare.

3.3 Incisione

Ormai il photoresist è stato tutto disciolto e ora, se volete, potete lavorare in un ambiente piú luminoso. In quest'ultima fase non rimane che eliminare il rame dalle zone di interconnessione con la soluzione di cloruro ferrico.

Ma dove procurarsi questo acido? Nei negozi di elettronica o presso i soliti stand delle fiere, non faticherete a trovare dei flaconi da litro di soluzione già diluita. Quella che utilizzo io, per esempio, è al 41%. Vi consiglio, inoltre, di procurarvi anche un contenitore, come una bottiglia in plastica, per raccogliere la soluzione già utilizzata.

L'operazione di incisione per sola immersione risulta essere, come già accennato, piuttosto lenta. Infatti, se non si pratica almeno un'agitazione sul contenitore, la reazione, nei pressi del lato rame, tenderà a saturare. Per aumentare ulteriormente l'azione corrosiva è bene portare la soluzione ad una temperatura il piú alta possibile. Il non plus ultra, comunque, consisterebbe nel far gorgogliare un getto di aria calda sotto alla scheda ramata. In questo modo, infatti, si aggiungerebbe un terzo elemento che favorisce la reazione: l'ossigeno. Certo, però, che costruire una scatola che realizzi tutto questo non è un impresa da poco. Cosí ho cercato di arrangiarmi in modo molto piú grezzo.

Mi sono procurato in un negozio specializzato un becker da laboratorio, cosí da essere sicuro di non corrodere con la soluzione qualche pentolame. Con la semplice fiamma di un gas da cucina porto la soluzione fin quasi all'ebollizione. Mi raccomando di fare attenzione ai vapori, in quanto, anche se ne so veramente poco di medicina, non credo siano particolarmente salutari. Con la solita striscia di scotch, comincio ad immergere ed estrarre la basetta dalla soluzione ripetutamente, provocando, cosí, sia l'agitazione che l'apporto di aria necessari. Si nota subito l'azione corrosiva cominciare dai bordi delle piste ed estendersi verso l'interno delle zone non protette. Dopo circa cinque minuti rimarranno solo delle chiazze sparse qua e là che sarà bene eliminare con un'azione localizzata, per non rovinare il tracciato già pronto.

Quando mi sembra che il circuito sia soddisfacente, lo lavo abbondantemente sotto l'acqua corrente, strofinando con un vecchio spazzolino da denti, per essere sicuro di togliere i residui dell'acido. Preso un vecchio giornale vado all'aria aperta e applico la lacca isolante, facendo attenzione a non tralasciare alcuna parte del circuito. Questo, come detto, assicura il circuito contro la formazione di antiestetiche e pericolose chiazze verdi dovute all'ossidazione.

Successivamente sarebbe buona norma portarsi nelle vicinanze di una buona fonte di luce ed osservare il circuito con attenzione. In primis per compiacervi del risultato ottenuto, ma soprattutto per ricercare qualche imprecisione. Potrebbe capitare, infatti, che sia rimasta ancora qualche striscia di rame che, se non eliminata, farà rischiare un brutto cortocircuito. Analogamente bisognerebbe fare attenzione alle piste interrotte, annotandosi, se opportuno, il numero: durante la saldatura si provvederà a ripristinarne il collegamento. Di solito a me capita di saltare questo seppur utile controllo, perché comunque molte piccole imperfezioni si riescono ad osservare solo durante la fase di foratura, quando passano sotto gli occhi tutte le piazzole, una alla volta.

3.4 Foratura

Quest'ultima fase è certamente la piú onerosa, in termini economici, vuoi per l'attrezzatura necessaria, vuoi per la delicatezza degli strumenti utilizzati. Infatti, anche se un semplice trapano ed una comune punta vi permettono di portare a termine il lavoro, la comodità e la precisione di strumenti specifici alla lunga risultano, secondo me, indispensabili.

Personalmente mi sono comperato sia il trapano che la colonna appositi per questo impiego. Il trapano riesce a raggiungere i 17.000 giri, mentre il mandrino supporta punte che vanno fino ai 6cm.

Anche le punte meritano un'attenzione particolare. Quelle normali, infatti, dopo una decina di fori cominciano a produrre trucioli al posto della polvere iniziale, segno, ormai, che hanno perso molto della loro capacità di taglio. Quelle speciali, invece, mantengo il taglio per molto piú tempo, ma, sfortunatamente, sono molto costose e poco resistenti. Per le prime prove vi consiglio di utilizzare le prime. Quando avrete fatto un po' di pratica usate il secondo tipo, ma non comperatene una sola, perché la prima vi si romperà dopo il terzo foro. Vedrete! Vi ricordo, infine, le dimensioni piú utilizzate:

Di quest'ultima dimensione non sono sicuro esistano punte speciali. Personalmente utilizzo quelle normali in quanto i fori da praticare non sono mai molti.


Avanti Indietro Indice